Brindisi: il Porto, le Mappe e i Fari

Il Porto

“ll porto di Brindisi è suddiviso in tre aree: il porto interno. il porto medio e il porto estemo, per un totale di quasi 5 milioni di metri quadri. Le destinazioni d‘uso sono molteplici: turistiche (porto medio), approdo unità da diporto (Seno di Ponente), militari (Seno di Ponente), industriali (porto medio e porto esterno), commerciali (Seno di Levante e porto medio), traffico passeggeri (seno di Levante e porto medio), approdo pescherecci (Seno di Ponente). L’origine naturale del porto di Brindisi fa sì che il suo utilizzo coincida con il dislocarsi dei primi insediamenti abitativi e, poi, con l’inurbamento. Dal ll secolo a.C., con la conquista romana, i traffici sono contratti notevolmente mentre conosce un periodo di grande espansione Brindisi, il cui porto interno, costituito da due seni ai quali si accede tramite un canale naturale è scelto dai romani come snodo militare e commerciale.

Del secolo successivo è l’episodio, molto citato dalla letteratura classica, dell’assedio da parte di Cesare ai danni di Pompeo, rifugiatosi con la flotta nel porto. La funzione commerciale è testimoniata dalle fonti scritte ma anche dai rinvenimenti dei resti di fornaci nelle località Giancola e Apani e di anfore della stessa fattura in navi romane affondate.

Brindisi. Il porto ai tempi di Cesare. da “Il porto di Brindisi nella storia e nella realtà attuale” di Cosimo Faggiano – “Le vie d’Italia 1932”. Fototeca Briamo B.A.D.

Brindisi, attraverso il porto, commercia l’olio e il vino locali sia sul territorio italico, sia nelle province orientali. Fin dal Medioevo si delinea nettamente la vocazione del porto di Brindisi: in particolare lo snodo dei traffici commerciali (con Venezia, Genova, Ragusa. il Montenegro oltre che verso il Mediterraneo orientale) e passeggeri, oltre ad avere una funzione militare (si pensi anche all’imbarco dei crociati).

Brindisi. Dalla carta nautica l’Adriatico di W. Barantszoon 1595. Fototeca Briamo B.A.D.

Nei secoli successivi il progressivo deteriorarsi del canale di passaggio verso il porto interno fa sì che l’attracco delle navi si sposti nella rada esterna, nel XV secolo circa, nel porto medio (il canale sarà allargato e deviato durante la seconda metà del Settecento, con i lavori diretti dall’ingegner Andrea Pigonati e poi dall’ingegner Carlo Pollio).

Pianta della città e porto di Brindisi e suoi siti adiacenti. Manoscritto Biblioteca De Leo. Fototeca Briamo B.A.D.
Mappa dell’epoca rinvenuta si internet
Brindisi. Il Porto medio, il Canale Pigonati e parte del Porto interno. Fototeca Briamo – B.A.D.

ll porto, pur conservando un’attività commerciale piuttosto costante, anche se ridotta, non è oggetto degli interventi straordinari necessari fino al XVIII secolo: l’attenzione si concentra, al contrario, sulla difesa della città da eventuali incursioni nemiche provenienti dal mare.

Brindisi. Pianta del Porto e della città da stampa del ‘600 (in cui ben si vedono il Ponte Grande e il Ponte piccolo ndr). Fototeca Briamo B.A.D.

Così, quando nella prima metà del Settecento la congiuntura economica favorisce la ripresa delle attività commerciali e cresce la richiesta dei prodotti agricoli pugliesi da parte dei mercati europei, risulta chiaro che i porti di Terra d’Otranto (le attuali province di Lecce, Brindisi e Taranto), per rispondere a tali richieste, necessitano di costosi interventi di ristrutturazione. ln particolare il porto sul quale il govemo borbonico sceglie di investire e che, d’altra parte, richiede maggiori interventi, è  Brindisi. I portolani Settecenteschi (di J .N. Bellin e di M. Roux, per esempio) mostrano il porto interno in buona parte impraticabile: a causa delle secche, in particolar modo di fronte al canale d’ingresso, dove è segnalata anche una palude (detta “Palude delle Torrette”). Le acque nei seni sono in parte stagnanti e i bastimenti perciò stazionano soltanto nella rada esterna, lontana dalla città, in quanto ha acque più profonde.

Brindisi. Panorama fine ‘600, da Brindisi Ignorata di N. Vacca – Trani 1954.
Brindisi ( erroneamente sulla mappa è riportata Taranto) nella pianta del Blaeu (1650 circa). Coll. N. Vacca

La veduta, in apparenza un po’ romantica, pubblicata da Henry Swinburne in realtà fomisce la visione del porto intemo vuoto e inattivo.

Foto (1)

L’intervento più urgente risulta essere l’allargamento e la modifica dell’orientamento del canale d’ingresso al porto, in modo da facilitare il ricambio delle acque nei seni interni: un primo progetto, della metà del Settecento, non sarà attuato. Solo vent’anni più tardi, durante il regno di Ferdinando IV, i lavori saranno avviati sotto la direzione dell’ingegner Andrea Pigonati e poi ripresi dall’ingegner Carlo Pollio tra il 1789 e il 1800.

Brindisi. Pianta della città e porto di Brindisi e suoi siti adiacenti. Manoscritto Biblioteca De Leo. Fototeca Briamo B.A.D.
Pianta della rada e del porto di Brindisi con i progetti suggeriti per il restauro da “Difesa della città e del porto di Brindisi” di Monticelli e Marzolla- 1831. Fototeca Briamo B.A.D.
Carta del porto nel 1831. Da “Difesa della città e del porto di Brindisi” di Monticelli e Marzolla – 1831. Fotot. Briamo B.A.D.

Il ritorno dei Borboni coincide nuovamente con una maggiore attenzione verso il porto di Brindisi, visto come testa di ponte con l’Oriente per i traffici commerciali ma anche per la difesa militare. Così, a Brindisi Ferdinando II, pur non incontrando l’approvazione di chi, nell’amministrazione centrale e provinciale, non gradisce che ingenti risorse finanziarie siano dedicate alla ristrutturazione del porto, il 10 novembre 1834 dà incarico a una commissione di progettare gli interventi e di lì a poco sono avviati i lavori, diretti dal colonnello Albino Mayo.

ll progetto, approvato dal Consiglio ordinario di Stato il 27 febbraio 1842, prevede l’escavazione del porto interno, la bonifica delle tre paludi, la costruzione di tre fari (Forte a Mare, Punta Penne e delle isole Pedagne) e di un lazzaretto (dove sostavano le merci provenienti dall’estero). I costi per un intervento così complesso sono ingenti e vanno progressivamente aumentando durante i lavori, che procedono lentamente.

Piano generale del Porto di Brindisi rilevato nel 1866 – ASB (Foto 1).

ll regno sabaudo, a vent’anni dall’inizio dei lavori, eredita un porto in cui sono stati completati il canale Pigonati, i fari di Punta Penne e di Forte a Mare, la costruzione dell’edificio del faro delle Pedagne e poche centinaia di metri di banchina nel porto interno (denominata banchina centrale).

Sede a Brindisi del Lloyd Austriaco

Breve storia del Lloyd Austriaco. Il collegamento di Brindisi alla rete ferroviaria e l’apertura del Canale di Suez nel 1869 accesero gli interessi delle compagnie internazionali di navigazione per il nostro porto. Proprio nello stesso anno veniva costruito l’Hotel Internazionale e, accanto ad esso, il Palazzo del Lloyd Austriaco, identificabile per l’incisione che ancora esiste sulla sommità dell’edificio; una azienda che è fra le più antiche compagnie di navigazione del mondo.
Nel tempo l’interesse per il nostro porto cresceva poichè la città era divenuta anche scalo della “Valigia delle Indie”, servizio postale e di trasporto passeggeri da Londra a Bombay (1870) – per approfondirne la storia vedi il nostro articolo QUI.
Intanto, come conseguenza della creazione dell’impero Austro-Ungarico avvenuta nel 1867, il Lloyd Austriaco nel 1872, assumeva la nuova denominazione di Lloyd Austro-Ungarico e nel 1883 stabiliva la nuova sede centrale a Trieste.
Con il crescere dell’importanza di Fiume che era nella parte ungherese dell’Impero Asburgico, il Regno d’Ungheria prese la decisione di destinare alla Società di Navigazione Adria, che aveva la sua sede a Fiume, i finanziamenti precedentemente destinati al Lloyd. In seguito a questo, nel 1891 la denominazione della società tornò ad essere Lloyd Austriaco e nel 1906 la sede della compagnia venne trasferita da Trieste a Vienna.
Con il passaggio di Trieste all’Italia nel 1919 la compagnia cambiò nome in Lloyd Triestino di Navigazione. Italia Marittima è il nome assunto dal 1º marzo 2006 dalla compagnia di navigazione Lloyd Triestino di Navigazione.

Avviso del Lloyd Austriaco del 15/4/1847 che sopprime le toccate dal Porto di Brindisi, da “Il Lloyd Triestino – contributo alla Storia della Navigazione marittima”, 1938 Mondadori. Fototeca Briamo – B.A.D.

Per Brindisi durante i primi decenni del Regno le potenzialità logistiche crescono notevolmente: la ferrovia arriva in città nel 1865, collegando la città alla direttrice adriatica e l’apertura del canale di Suez (1869) fa sì che il porto diventi di grande interesse per le compagnie intemazionali di navigazione in quanto strategicamente ben collocato rispetto alla rotta per l’Oriente. Di lì a poco Brindisi diventa scalo, oltre che del Lloyd austroungarico, anche dei piroscafi della Florio & Rubattino, della Navigazione generale italiana, della Società anonima di Navigazione Ellenica ma Soprattutto della Peninsular and Oriental, società concessionaria della Valigia delle Indie, servizio postale e trasporto passeggeri da Londra a Bombay (1870). ll governo negli stessi anni dichiara il porto di seconda categoria, prima classe (porto commerciale nazionale e internazionale) e nel 1864 stanzia i primi fondi per i lavori di adeguamento del porto” (costruzione di muri di sponda, banchine, due dighe nel porto medio e fari, escavazione del porto interno, bonifica delle paludi). ln realtà gli interventi, mancando una progettazione organica e lungimirante, presto sì dimostrano insufficienti rispetto alla rapida crescita del traffico del porto: basti pensare al muro di sponda ovest del canale Pigonati, terminato nel 1868, che risulta da subito inadeguato al transito dei piroscafi nel porto interno (in quanto poco profondo rispetto la stazza maggiore delle navi). D’altra parte gli interventi non prevedono assolutamente la realizzazione di edifici a servizio dei passeggeri e del ricovero delle merci. Eppure a partire dagli anni Settanta Brindisi diviene a tutti gli effetti uno tra i maggiori porti italiani: negli anni Novanta dell’Ottocento ha ormai una movimentazione passeggeri (17.160 unità sbarco-imbarco) superiore a quella di Bari e di poco inferiore a quella di Venezia (21.557 unità), mentre il traffico di bastimenti a vapore ha un tonnellaggio complessivo perfino superiore a quello di Venezia (trattandosi di piroscafì per la navigazione intemazionale). Buona parte della merce arriva a Brindisi dall’Inghilterra (verosimilmente si tratta per lo più di carbone che i piroscafl sbarcano a Brindisi, dove sorge un grande deposito all’aperto della Peninsular and Oriental da 10.000 tonnellate); il commercio nazionale (cabotaggio) avviene da e per Venezia, soprattutto. In modo particolare è consistente l’esportazione di granaglie, di grandi quantità di oli e in modo crescente di vini. Negli stessi anni a Taranto, considerato un porto commerciale minore, arrivano appena 221 bastimenti a vapore contro i 1.000 giunti a Brindisi. Mentre le compagnie di navigazione sollecitano più volte l’adeguamento del porto di Brindisi alle esigenze del traffico internazionale, gli interventi del governo e delle amministrazioni locali sono carenti di progettazione. Le escavazioni del porto interno sono ripetutamente interrotte, gli interventi di costruzione e ristrutturazione delle banchine sono spesso sospesi e rimandati per mancanza di fondi.

Foto (1)

Alcuni casi sono eclatanti: il canale Pigonati, pur sollecitato continuamente dal transito dei piroscafi, è dotato del muro di sponda ovest negli anni Sessanta, mentre il muro est è costruito solo negli anni Ottanta; la banchina centrale, in parte franata nel 1881 e dove è previsto fin dagli anni Ottanta un arretramento del muro di sponda utile a renderla punto di attracco dei piroscafi, sarà ricostruita solo nei primi anni del Novecento; negli anni Ottanta, dopo il prolungamento dei binari dalla stazione centrale al porto, è costruita una prima stazione marittima (poco più di una tettoia) lungo la banchina centrale del porto intemo ma in realtà distante ben 400 m dal punto di attracco dei piroscafi,

Brindisi. La prima stazione marittima. Fotot. Briamo – B.A.D.
Brindisi. Stazione ferroviaria marittima 1910. Un treno sul binario esterno (da cartoline d’epoca). Fototeca Briamo BAD
Brindisi. Stazione ferroviaria marittima. Anno 1923. Piazzale esterno. Fot. Briamo BAD
Brindisi porto. Coincidenza della Valigia delle Indie. Fot. Briamo B.A.D.
Brindisi. Banchina di ponente del canale Pigonati, deposito di carbone per il rifornimento dei mercantili. Non ancora requisita dalla Marina Militare. Fot. Briamo BAD.

nel seno di ponente, suscitando perciò polemiche da parte delle compagnie di navigazione; i lavori di bonifica delle paludi nei seni di levante e ponente sono conclusi solo nel Novecento; è progettato (ma non realizzato) un deposito per le grandi quantità di carbone che alimentano i piroscafi, costringendo perciò le compagnie di navigazione a depositarlo all’aperto, lungo sponde in parte prive di banchine (riva Posillipo).

Piano regolatore del porto di Brindisi, 14 aprile 1905 – ASB. Foto (1)

Infine, proseguono i lavori di chiusura della rada esterna tramite dighe (già negli anni Settanta sono ultimate le dighe di Bocche di Puglia e di Forte a Mare) e di escavazione delle secche in essa presenti, ma tali lavori non sono progettati in funzione  di un ampliamento del porto: solo negli anni Venti del Novecento sarà proposto anche l’utilizzo di Costa Morena come punto di approdo per il traffico commerciale.

Mentre va crescendo in città l’attività di piccole industrie, che si servono del porto per il commercio dei loro prodotti il XIX secolo si chiude per Brindisi tra le delusioni e le polemiche. La Valigia delle Indie dirada sempre di più lo scalo a Brindisi perché il porto è ancora inidoneo a sostenere il traffico internazionale, il Comune e la Camera di Commercio di Terra D‘Otranto accusano il governo centrale di non aver investito abbastanza. ll governo centrale sceglie chiaramente di investire meno nel porto commerciale, la Valigia delle Indie cessa di passare da Brindisi nel 1914 mentre dal 1909 nel seno di ponente e a Terra Guacina, nel porto medio, s’insedia la Marina Militare (che finanzia la costruzione dell’idroscalo nel 1914, della diga di costa Morena nel 1917 e delle prime officine dell’Arsenale).

Brindisi. Seno di Ponente prima della 1^ guerra mondiale. Fot. Briamo B.A.D.
Brindisi. Seno di Ponente e Castello Svevo. Stazione rimorchiatori Regia Marina. Da il “Porto di Brindisi nella storia e nella realtà attuale” di Cosimo Faggiano. Le vie d’Italia TCI, 1932. Fot. Briamo B.A.D.
Brindisi. Banchina piena di merci e porto pieno di navi da carico dopo la prima guerra mondiale. Fot. Briamo – BAD

Agli inizi del Novecento entrano in attività i primi grandi insediamenti industriali privati all’interno del porto. Dopo la contrazione del traffico passeggeri e merci, l’area nord-est del porto interno è destinata all’insediamento dello stabilimento chimico Montecatini (attivo dal 1931). Una serie di opere portuali (bacini, banchine, binari e moli) è appositamente costruita al Servizio dello stabilimento.

Negli anni Cinquanta a Brindisi entra in attività la stazione marittima, costruita negli anni Trenta.

Brindisi. Piroscafo Adria e Stazione Marittima (riproduzione di cartolina). Fot. Briamo BAD
Brindisi. Il porto. Imbarco botti da vino fabbricate a Brindisi. 1930. Fot. Briamo BAD

Brindisi. Nave Ausonia del Lloyd Triestino e uno dei suoi saloni. Fot. Briamo – B.A.D.
Uno dei saloni della nave Ausonia – Fot. Briamo – B.A.D.
La nave “Conte Biancamano”. Fotot. Briamo B.A.D.
La nave Adria. Fot. Briamo – B.A.D.

Corso Garibaldi all’incrocio della banchina di attracco dei piroscafi. La cancellata della stazione ferroviaria marittima 1920. Fotot. Briamo – B.A.D.
Brindisi Stazione Marittima. La vecchia cancellata. Fot. Briamo BAD.

Ma è solo nella seconda metà del Novecento che si delinea una nuova fase determinata dalla costruzione dei settori industriali, in uso alle grandi imprese.” (1)

Brindisi. Stazione traghetto Italia – Grecia. Fotot. Briamo B.A.D.
Porto. Partenza nave traghetto. Fot. Briamo BAD
Brindisi – Porto interno. Banchina Dogana, boy-scouts per l’imbarco per il raduno di Atene, 1963. Fot. Briamo BAD
Brindisi – Porto. Banchina dogana. Foto maggio 1965. Fot. Briamo BAD
Brindisi 20/10/2014. Foto presa con Google Maps. Nel porto medio si possono vedere due navi a Costa Morena Terrare e due navi carboniere.
Foto (1)

Dal confronto tra la mappa del 2003 e quella di oggi, è possibile rilevare alcune differenze nel porto medio quali: la colmata a Capobianco di uno specchio d’acqua di circa 15 ettari attualmente sotto sequestro per vicende giudiziarie in corso riguardanti la LNG; la nascita del molo per l’attracco delle navi carbonifere.

Brindisi 19/10/2014. Foto scattata con Google Maps.

Il Canale Pigonati oggi.

Veduta di una parte del Porto attraverso il Canale Pigonati.

I Fari

Un gruppo di fari pugliesi getta le sue origini nel periodo preunitario, quando l’antico Regno delle Due Sicilie era govemato dalla dinastia dei Borboni. Per capire la loro importanza basti pensare che nel 1851 vi erano nel mondo solo 587 fari. Nella penisola italiana ne esistevano 47 di cui soltanto 15 in Adriatico.

In particolare il Regno di Napoli finanziò nel 1859 un programma per la costruzione e attivazione di 42 impianti che si sarebbero dovuti aggiungere agli altri 21 esistenti sulle coste dello Stato. A questa parentesi appartengono quello di Molfetta (in provincia di Bari) e in parte quello che sorse sull’isolotto delle Pedagne, all’ingresso del porto di Brindisi.

Carta dei fari e fanali del litorale d’Italia per la provincia di Lecce, aprile 1885 – ASL. Foto (1)

Riguardo al faro delle Pedagne, nei pressi del porto di Brindisi, va detto che un progetto preliminare venne redatto già nel 1834.

Occorreva segnalare alle imbarcazioni l’ingresso di uno dei porti più importanti del Meridione d’Italia, chiuso all’imboccatura da un minuscolo arcipelago di isolotti e scogli, tra cui la “Traversa delle Pedagne”.

Il fanale venne messo in funzione solo nel 1861, dal Genio Civile. All‘epoca della sua costruzione era un faro di V ordine. Era il primo segnale che si incontrava entrando nella rada estema del porto. l fanalisti addetti abitavano negli alloggi a ridosso della torretta del faro.

Faro delle Pedagne. Foto Google Maps.
Faro delle Pedagne. Foto Google Maps

Nel 1915 venne trasformato in un fanale a intermittenza rossa con lampeggiatore alimentato ad acetilene disciolto.

Faro delle Pedagne. Foto Google Maps
Faro delle Pedagne. Foto Google Maps
Faro delle Pedagne. Foto Google Maps.

Tornò a essere un faro di atterraggio (a luce bianca) tra il 1920 e il 1938, quando divenne. come è ancora oggi, fanale a lampi rossi, con portata luminosa ridotta e settore oscurato sulle Secche di Capo Cavallo. ll sito, raggiungibile solo via mare, è composto da una torretta ospitante il fanale, di forma cilindrica, alta 18 metri, in muratura e sormontata da lanterna poligonale dipinta di rosso. Poggia su basamento circolare a un solo piano e accanto ad esso sono ancora visibili gli alloggi, non più in uso dei fanalisti; si tratta di cinque piccoli locali con due cucine.

Frontespizio del volume “L’opera della Regia Marina nel servizio del segnalamento delle coste. 1° triennio, 1911-1914”, Torino 1914. Foto (1)

L’intensificazione dei commerci marittimi, soprattutto con il porto di Brindisi che era entrato a pieno titolo nell’asse della cosiddetta “Valigia delle Indie”, unita alle necessità militari che potenziarono le difese lungo le coste del Sud, portò all’elaborazione di una serie di progetti a partire dal 1862, e di conseguenza alla costruzione in pochi anni di torri e caseggiati. Nascono così nell’ordine i fari di Santa Maria di Leuca (Lecce), scoglio Sant’Eufemia a Vieste e Caprara-isole Tremiti (Foggia), Barletta (Bari), Sant’Andrea di Gallipoli (Lecce), San Paolo (Taranto), Punta Palascìa di Otranto (Lecce), Manfredonia (Foggia), Capo San Vito (Taranto), Punta San Cataldo (Bari), Punta Riso (Brindisi) e Punta San Cataldo (Lecce). ll Faro di Punta Riso (Brindisi) sorse nel 1890 per potenziare il sistema di segnalamento per l’ingresso al porto della città. Venne progettato in quell’anno dopo che il fanale sulla testata della diga di Forte a Mare si era dimostrato insufficiente a segnalare l’isola di Sant’Andrea. Fu attivato nel 1893 come faro di sesto ordine e diventò fanale a luce verde dal 1931. Costruito su un basamento di massi artificiali, era collegato all’isola di Sant’Andrea tramite un pontile in legno. La torretta era bianca e successivamente è stata rivestita da tessere maiolicate bianche e nere. Non è più in uso e la lanterna non è in situ. La torretta circolare del fanale è alta circa 10 metri e costruita su un basamento rotondo poggiante su massi artificiali. Realizzata in conci di pietra calcarenitica del tipo “carparo”, è rivestita da tessere maiolicate in parte cadute. A ridosso del faro sono visibili i resti degli ambienti destinati ad alloggio per i fanalisti.

ll fanale, costruito su un lembo estremo dell’isola di Sant’Andrea, è sottoposto rispetto alla diga di Punta Riso e il terreno ad esso circostante è in buona parte il riempimento realizzato in occasione della costruzione della diga.

La torre e gli alloggi versano in uno stato di totale abbandono e degrado ambientale.

Costruito negli anni ’90 dell’800 sulla diga che porta a Forte a mare, e messo al posto del faro sul cavaliere del Castello Alfonsino, si dimostra presto insufficiente e, a sua volta, viene sostituito nel 1893, dal faro di Punta Riso.
Il fanale, in muratura, dell’altezza di 12 m. aveva segnale a luce scintillante verde, portata 7, potenza 50 e veniva usato come faro di riserva. (C.A. Caravaglios, Il porto di Brindisi -http://www.salogentis.it)

ll faro Forte a Mare (Brindisi) completa la serie delle infrastrutture deputate alla sicurezza della navigazione prese in esame. In realtà il Forte ospitava già il faro di Brindisi dal 1844. Dapprima sul cavaliere e alloggiato in una torretta ottagonale in mattoni, viene sostituito alla fine del secolo dal faro di Punta Riso e sul terrazzo del forte è elevato un semaforo di modesta altezza. Nel 1930 circa è progettata l’attivazione del faro su traliccio in ferro, che entra in uso probabilmente nel 1938 e resta attivo fino al 1984. ll faro aveva altezza della luce di 35 m e caratteristica della luce a 4 lampi per un periodo di 20 secondi. La lanterna non è più in situ. La struttura metallica versa in uno stato di totale degrado che sta contribuendo alla perdita di un singolare “documento” della farologia italiana. Nello stesso anno della dismissione, venne attivato a carattere provvisorio un piccolo faro elettronico sul terrazzo del Monumento al Marinaio d’Italia. Nel maggio 2004 questo segnalamento è stato riportato sulla terrazza del Castello Alfonsino accanto al vecchio traliccio e consta di un’ottica rotante inserita in una lanterna in vetro resina alta m 3 per rn 2 di diametro. La portata della luce sul mare è di 28 miglia, a differenza della portata del vecchio traliccio che era di 35 miglia.

Il faro di Forte a mare sul Castello Alfonsino, 2007 (foto A. Monte)

Il faro sul Castello Alfonsino oggi.

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Foto del  Faro di Punta Riso (Aggiunte il 22/12/2018)

Un ringraziamento all’ amico Mario Carlucci che ha collaborato con me e all’amico Robertino Trinchera che mi ha fatto conoscere questo libro senza il quale non sarebbe nato l’articolo.

Bibliografia e sitigrafia:

“Legenda: allo scopo di non tediare il lettore con la ripetizione delle fonti citate, è stato attribuito un numerino per ogni opera consultata, che si ritroverà al termine della citazione e che consentirà l’esatta attribuzione bibliografica o sitografica.”

(1)  Il patrimonio industriale marittimo di Terra d’Otranto, a cura di Renato Corvino e Antonio Monte – nella parte dedicata a “I porti e i fari di Terra d’Otranto, a cura di Mauro Ciardo, Antonio Monte, Ilaria Montillo, Anna Maria Stagira. Stampato da Tibergraph srl – Città di Castello (PG) nel giugno 2008.

0 commenti

  1. Beh, premetto che la mia considerazione non vuole essere una “esagerazione” ma questo reportage divulgativo sul Porto di Brindisi è fenomenale! Per i cenni storici e per le foto…

    1. Bhè, che dire, grazie innanzitutto e caffè pagato ….al porticciolo! 🙂

  2. Come al solito bellissimo articolo di Francesco Guadalupi, cui vanno i miei complimenti. Noto tuttavia (senza che c’entri minimamente l’autore del pezzo) che molte immagini tratte dalla Fototeca Briamo risultano in origine pubblicate in testi a cui i curatori della fototeca stessa non hanno ritenuto di dover fare riferimento, non indicando per altro nemmeno i nomi degli autori dei disegni. Ad esempio, “Il porto di Brindisi ai tempi di Cesare” è un disegno (in origine “Il porto di Brindisi ai tempi di Cesare e Pompeo”) di Giuseppe Rondini già stampato nel 1929 nell’opuscolo di Gino Massano “Brindisi e la sua provincia”. La “Pianta della città e porto di Brindisi e suoi siti adiacenti” è contenuta invece in 2 tavole nel testo del Pigonati stesso “Memoria del riaprimento del porto di Brindisi sotto il regno di Ferdinando IV”, Napoli, Michele Morelli 1781. Le due grandi tavole ripiegate, tratte da disegni del Pigonati, furono incise da Pignatari e Aloja.

    1. Ciao Nazareno, come tu hai ben capito il prof. Briamo qualche volta si limitava a indicare la rivista da cui spesso traeva le sue fotografie senza indicare altro e non posso, per questo motivo, riportare gli autori ma, fornire solo un utile indizio per poterli rintracciare, ovviamente quando è possibile! Ciò non toglie che le sue foto di mappe, eventi, luoghi, reperti storici e artistici, costituiscano una vera e propria memoria storica cittadina, di cui mi sto servendo in maniera disinvolta nel tentativo di divulgare quanto più è possibile quel patrimonio storico da lui lasciatoci in eredità. Convinto che sarai d’accordo con me sulla necessità di continuare la nostra opera attraverso il blog, e attraverso il materiale della fototeca Briamo gentilmente messoci a disposizione dalla Biblioteca Arc. De Leo, ti abbraccio e ti auguro buona notte!

      1. Ci mancherebbe, d’accordo con te. E naturalmente, oltre a seguirti, come potrai notare “scrupolosamente”, spero che tu continuerai in questa opera di diffusione e di qualificazione delle bellezze della nostra città, Tuttavia è un peccato che una tale fonte d’immagini, quale la fototeca Briamo, non sia “aggiornata” in modo da renderla più adeguata nei riferimenti. Un patrimonio non va solo conservato ma anche, sempre se possibile, valorizzato da parte dei curatori. Al prossimo articolo. Un caro saluto e buona giornata.

  3. come sempre dettagliato, preciso ed esauriente. Grazie e alla prossima.

    1. Grazie, gentile come sempre! Un abbraccio e…alla prossima!

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